La morte e il morire: processi di trasformazione per una nuova identità
Introduzione
Da decenni ci dibattiamo in una crisi economica, politica e soprattutto umana di dimensione epocale, la cui soluzione sembra ancora lontana ma sicuramente segnerà il nostro futuro. Il pensiero unico della libertà di mercato, l’etica della competizione individualistica, la rapina continua delle risorse energetiche, il controllo economico-militare di una parte della società sull’altra, le organizzazioni politiche autoreferenziali, dominano le nostre società civili, diventando così un grosso problema per tutto il pianeta e per i popoli che lo abitano. Il fallimento mondiale della politica nella gestione e nella risoluzione di questa crisi rende evidente che tutti i meccanismi di partecipazione e condivisione elaborati finora sono compatibili alla crisi e soprattutto la riproducono in maniera esponenziale. Nella migliore delle ipotesi, gli stati e i grandi enti governativi, con le loro politiche, quando non sono alla base della produzione di crisi, sono comunque impotenti a gestirla positivamente e a risolverla. Le democrazie ricche, insomma, si dibattono da anni nella loro crisi e non riescono a tirarci fuori dai guai, poiché tutto il sistema ed i suoi sottosistemi politici, si organizzano, si muovono e producono presupposti, idee e aspettative che sono francamente onnipotenti e deliranti.
Progresso tecnologico lineare
Negli ultimi due secoli, in particolare, gli esseri umani hanno creduto e si sono identificati nel mito di un progresso tecnologico lineare, continuo e privo di reali contraddizioni. Hanno creduto che la scienza e il suo diretto prodotto applicato, la tecnologia, ci avrebbero salvati dai nostri numerosi mali. Gli scienziati avrebbero trovato soluzioni efficaci a tutti i problemi dell’umanità e finanche ai numerosi problemi creati dalla stessa tecnologia: la soluzione ai problemi creati dalla scienza non può che essere la scienza stessa. Hanno creduto alla supremazia di un’intelligenza logica e matematica, applicata a programmi di liberazione dalla miseria economica, sociale e culturale che affligge le società umane da secoli. Hanno creduto in una scienza capace di prevedere e controllare fenomeni complessi attraverso leggi esatte e prevedibili. Certo, ci sono state visioni diverse e tentativi di riequilibrio interni al sistema: penso alle teorie dei filosofi umanisti ed esistenzialisti ed ai loro tentativi di riportare l’uomo al centro dell’universo. Tuttavia il modello che è venuto affermandosi e che oggi domina ideologicamente l’occidente in crisi è il modello supportato dalla visione positivistica della scienza. Negli ultimi tre secoli, qualunque teoria o civiltà che si opponesse a questo modello è stata sistematicamente combattuta e ridotta in schiavitù quando non sterminata quasi del tutto.
Globalizzazione e tecnocrazia
Il consenso espresso a queste idee positiviste, grazie soprattutto all’utilizzo sapiente dei moderni mezzi di comunicazione di massa, è stato quasi totale. Pertanto il sistema globalizzato, cioè diffuso in tutto il pianeta, ha continuato ad essere informato sempre nello stesso modo, mantenendo la sua omeostasi disfunzionale fino ad ora. Il risultato evidente è sotto gli occhi di tutti coloro che hanno occhi per guardare e orecchie per sentire. Il pianeta è agli sgoccioli. Le nostre società avanzate sono governate da una tecnocrazia che utilizza il controllo sociale in forme sempre nuove e rinnovate, ma invariabilmente gerarchiche e piramidali. Caste autoreferenziali saccheggiano il pianeta fino all’estinzione totale della maggior parte delle specie che vi abitano e, attraverso lo sfruttamento intensivo delle risorse energetiche, fino al consumo totale delle stesse. Non la salute e il benessere delle genti guidano queste logiche di sfruttamento ma la mera riproduzione e il mantenimento delle caste dominanti e privilegiate.
Liberazione dalla sofferenza
Il processo di frammentazione dell’uomo da se stesso che è avvenuto rapidamente ed è andato di pari passo con il processo di alienazione dalla natura è ancora sostenuto ideologicamente dalla promessa di liberazione totale dalla sofferenza attraverso l’uso della scienza. In effetti, dal punto di vista scientifico, i progressi ci sono stati: la liberazione dalla fatica fisica e dalla miseria, dalle malattie e dalla fame, soprattutto in alcune zone del mondo dove la ricchezza si è andata maggiormente accentrando. Oggi anche gli altri, quelli che vivono di briciole, possono dire di godere di alcuni vantaggi a cui nessuno si sentirebbe di rinunciare: la corrente elettrica, gli antibiotici, i trasporti su ruota, solo per citare alcune conquiste. Da questo punto di vista, non si tratta dunque di ritornare sugli alberi, o di abbandonare i trattori per ritornare al bue. Semplicemente, si tratta di riconoscere che questa corsa al progresso materiale, ci ha privati di qualcosa e, dunque, mentre ci ha resi ricchi, contemporaneamente ci ha anche deprivati. Sviluppando in maniera ipertrofica un aspetto delle nostre società, spinti dall’ansia della sicurezza, abbiamo negato l’altro aspetto. Nell’ansia di liberarci di tutto ciò che ci appariva come pericoloso, di sconfiggere la miseria, il dolore, le malattie, la morte, abbiamo acconsentito, ci siamo affidati al potere salvifico della tecnologia, negando e reprimendo tutto ciò che si opponeva alla tecnocrazia. Così, abbiamo combattuto il dolore fisico, la povertà, le malattie ed isolato la morte nei reparti ospedalieri specializzati. Il risultato è stato che, paradossalmente, il tentativo di combattere malattie, vecchiaia e morte facendone dei nemici, ha prodotto proprio nuove malattie, nuove povertà e nuova morte. Inoltre, ci siamo radicalmente separati dalla natura che percepiamo come una nemica anziché come la fonte della nostra vita e tutto ciò che faceva parte della tradizione preindustriale negli ultimi tre secoli è stato bollato come primitivo, termine che nella nostra accezione di uomini civilizzati vuol dire praticamente barbaro, cioè superstizioso, antiquato, curioso, comunque inferiore alla tecnocrazia che si stava affermando.
Dominio tecnologico
Con la violenza tipica che caratterizza le logiche di dominio tecnologico, tutto ciò che si opponeva è stato condannato a cedere il passo, confinato in riserve, subordinato, addomesticato e dominato brutalmente o semplicemente ignorato. La cesura con quello che esisteva prima di noi è stata quasi totale. Il risultato finale è che un sapere prezioso oggi sopravvive solo in forme marginali. L’identità centrata su complesse mitologie cosmogoniche, che pone cioè l’uomo all’interno dell’universo ed in interazione con le forze che lo attraversano, l’identità olistica dell’uomo che interagisce attraverso specifici rituali con le forze della natura, dell’uomo che è parte integrante della natura e non elemento estraneo ad essa, è stata progressivamente sostituita dall’identità dell’uomo isolato in se stesso, separato dalla natura, che vive in un mondo ostile che deve conquistare e dominare a proprio uso e consumo. Le nostre radici con il mondo sono state aggredite e quasi del tutto tagliate. E le radici, si sa, sono lo strumento attraverso cui l’albero si nutre traendo sostentamento dalla terra. Io credo che questa alienazione sia veramente il danno più grande prodotto dall’ansia di dominio compulsivo che ha caratterizzato la nostra cultura dagli ultimi seimila anni. Dal punto di vista psicologico, gli effetti distruttivi delle nostre convinzioni e delle nostre abitudini comportamentali, diretta conseguenza dell’identità che coltiviamo, sono evidenti. La convinzione di poter sfruttare all’infinito la natura, di poterla controllare e dominare, di poterne abusare a piacimento ci ha portati ad una situazione fortemente intossicante. Non parlo soltanto dei disastri ambientali ma anche di quello che contemporaneamente e sinergicamente si sta realizzando a livello psicologico di massa. Alcune patologie psichiatriche sono diventate endemiche e si sono diffuse in maniera esponenziale, tanto da poter parlare oggi di vere e proprie epidemie. Mi riferisco per esempio alla depressione, ma anche alle diverse forme di ansia, al disagio di quanti devono convivere con il loro senso di vuoto esistenziale, all’epidemia di autismo in atto che sta colpendo le società industriali avanzate, una patologia che si sta diffondendo sempre di più e le cui cause non sembrerebbero essere solo relazionali, ma al contrario decisamente sociali, come gli inquinanti sonori e ambientali di tipo chimico, per esempio.
Trasformazione culturale orizzontale
Occorre avviare ed espandere al più presto una trasformazione culturale orizzontale, dal basso, che attraversi ogni settore sociale, ogni agenzia sociale ed anche il modo di produzione attuale. L’obiettivo di questa trasformazione culturale è quello di sottoporre il concetto di identità ad una revisione critica radicale, fino ad adoperarsi per la transizione da un’identità centrata sulla separazione dall’ambiente, sulla paura della scarsità nelle società dell’abbondanza e sulla volontà di potenza, cioè il tentativo compensativo difensivo di controllare la paura della vita, ad una identità centrata sull’unità con il tutto, sulla consapevolezza dell’abbondanza, sull’amore. Occorre adoperarsi per l’emersione di una identità che ponga al centro di se stessa valori diversi, quali cooperazione, pace, fratellanza, accoglienza, rispetto, empatia, spontaneità, creatività, libertà. Una rivoluzione pacifica che, partendo dalla gente comune, attraversi tutti i settori sociali spingendosi fino ai cieli della politica, contaminandoli ed equilibrandoli, rendendoli cioè più armonici e funzionali alla vita. Ci sono le condizioni per una risoluzione positiva della nostra crisi? Esistono oggi le condizioni per lavorare in questo senso? Io credo di si. Per un motivo molto semplice. La crisi che stiamo vivendo contiene già in se stessa i germi di una profonda radicale trasformazione. Anzi, tale trasformazione sta già avvenendo adesso ed occorre soltanto saperne cogliere le determinanti e assecondarne lo sviluppo. Probabilmente tra qualche anno quasi tutto quello in cui abbiamo creduto e praticato negli ultimi tre secoli ci sembrerà incredibilmente primitivo e obsoleto. Soltanto allora ci accorgeremo che i veri primitivi siamo stati noi, i cosiddetti esseri civilizzati.
Cambiamento di paradigma
Questa presa di coscienza potrà avvenire a livello planetario a causa di un cambiamento di paradigma che già sta avvenendo a livello scientifico e filosofico e che sta producendo già ora reazioni sociali e che milioni di persone nel mondo stanno consapevolizzando e storicizzando. Parlo del passaggio dal paradigma cartesiano-newtoniano al paradigma olistico o sistemico che sta avvenendo anche grazie alle scoperte relativamente recenti della fisica quantistica. Nel corso degli ultimi tre secoli, le società occidentali e poi progressivamente tutto il pianeta che è stato a queste società sottomesso, si sono sviluppate all’interno del paradigma cartesiano-newtoniano. La rivoluzione cartesiana che ha portato la scienza ad emanciparsi dalla filosofia ebbe inizio con Copernico, il quale dimostrò l’inesattezza radicale del punto di vista teologico che poneva la terra al centro dell’universo ed ebbe un successivo sviluppo con Keplero, Bacone, Galileo, Descartes e Newton. Cartesio amava i congegni meccanici e, nella sua visione, l’universo era comparabile ad una grande macchina governata da meccanismi di causa ed effetto, logici, lineari e tutto sommato piuttosto semplici. Il suo metodo scientifico per rendere i fenomeni complessi accessibili alla ragione fu l’osservazione, la scomposizione e la divisione dell’oggetto di studio in parti infinitesimali. La divisione che egli operò in filosofia tra res cogitans e res extensa, cioè fra spirito e materia, liberò le scienze naturali dal dominio delle scienze spirituali, allora in mano ad un clero dogmatico, dominato dall’ideologia patriarcale e spaventato dalla perdita del potere temporale, ed istituì la comprensione “oggettiva” dei fenomeni ad opera dei “soggetti” dell’indagine. Il meccanicismo di Cartesio fu perfezionato da Newton, brillante matematico che rimane un solido fondamento per la dimensione scientifica fino al XX secolo inoltrato. Per Newton l’universo era meccanico, perfetto e governato da leggi immutabili. Ogni fenomeno ha una causa precisa ed in teoria è possibile prevedere gli effetti di queste cause a condizione che se ne conoscano le condizioni date in situazioni specifiche. I successi ottenuti dalla scienza e dal metodo scientifico hanno portato allo sviluppo dell’attuale società tecnologica. In psicologia, l’adesione al modello portò alla nascita delle due grandi scuole del behaviorismo e della psicoanalisi. Ciascuna di queste scuole aderisce ad una visione dell’uomo governato da leggi identificabili ed entrambe si sono adoperate per rendere la psicologia una scienza esatta. L’affermazione del positivismo in filosofia e in letteratura hanno rinforzato poi la fiducia nella razionalità e l’idea che la scienza, cioè la razionalità, ci avrebbe aiutati a risolvere i danni collaterali da essa stessa creati. Adesso basta. Possiamo tranquillamente svegliarci. Di fronte ai tanti disastri sociali mondiali, ai cambiamenti climatici in atto, alla qualità della vita che abbiamo, possiamo serenamente affermare che la tecnologia, privata di una coscienza, non ci salverà dalla rovina.
Vuoto quantico
Una nuova coscienza sta emergendo dalla nuova scienza che propone una nuova visione del mondo ed è incredibilmente simile alla vecchia, utopistica, irrazionale coscienza che mistici e popoli preindustriali hanno coltivato per millenni. Attualmente, infatti, un’altra branca della scienza ha messo seriamente in crisi la visione cartesiana dell’universo, dimostrandone l’ingenuità o comunque la validità soltanto ad alcune condizioni. Si tratta della fisica quantistica che, da circa settant’anni, studia l’universo delle particelle infinitesimali. E’ troppo lungo e complesso parlare dei numerosi esperimenti che hanno dimostrato quanto illusoria sia la visione di un universo composto per la maggior parte di materia che si comporta in maniera prevedibile e di un universo scomponibile in parti e dominato dalle leggi della dualità. Il punto che intendo sottolineare è che per la prima volta dopo secoli la visione scientifica e quella spirituale trovano numerosi punti di contatto. I fisici quantistici sostengono la visione di un universo coerente, organizzato in rapporti di interdipendenza tra parti, estremamente comunicativo, informato, in cui il tutto è più della somma dei singoli elementi. Quelli che contano non sono tanto i singoli elementi ma la totalità delle relazioni e degli scambi informativi che avvengono in un determinato campo. Soprattutto, essi sostengono, proprio come i mistici, che l’universo è indivisibile, che noi ne siamo parte integrante e che pertanto la percezione di separazione è illusoria. Tutto è uno ed è riconducibile ad uno. Da questo uno indifferenziato, che i fisici quantistici definiscono vuoto quantico, nascerebbero le forme fisiche, le quali però proprio come le onde del mare non sono separate dal mare, così esse non sono separate dall’origine. La materia, secondo i fisici quantistici, nascerebbe dal vuoto, interagirebbe proprio con questo vuoto che è presente in tutto l’universo, informandolo, lasciando tracce e ricevendone a sua volta informazioni. Anche noi, dunque, non saremmo separati ma fondamentalmente uniti ed integrati nell’universo. Uniti a questo vuoto originario che pervade tutto. Questa visione è diametralmente opposta a quella scientifica attuale, basata sulla divisione fra soggetto e oggetto e soprattutto sulla separazione fra oggetti, ed è molto simile a quella dei mistici o a quella dei popoli preindustriali e animisti, che sostengono cioè la presenza di Dio in ogni dove, compreso le pietre inanimate. Insomma, sotto la percezione di separazione, in realtà non ci sarebbe che unità e ad affermarlo non sono più i selvaggi della foresta amazzonica né i nativi americani o gli indios precolombiani, né i buddisti, né i filosofi indiani dei veda o i filosofi greci, i mistici cristiani e i teologi islamici, ma illustri eredi di Albert Einstein.
Carl Rogers
Ciò apre prospettive di integrazione fra scienza e spiritualità inedite e dunque apre alla possibilità che tutti insieme possiamo abbandonare un paradigma limitato e limitante per uno più attuale ed unificante. Credo che, nell’ottica di questo cambiamento di prospettiva, possiamo e dobbiamo dare la nostra attenzione di studiosi e di esseri umani a ciò che in nuce e tra le pieghe del vecchio modello meccanicistico sta germogliando. In psicologia, ad esempio, uno spostamento significativo dal modello cartesiano al modello olistico e dall’archetipo patriarcale all’archetipo matriarcale, è stato la nascita della psicologia umanistico-esistenziale. In seguito al nuovo contributo teorico, molte certezze hanno dovuto morire per lasciare il posto a nuove sperimentazioni. La centralità del terapeuta esperto che tutto sa e tutto decide per il bene del paziente, ha dovuto lasciare posto alla centralità del cliente o utente della terapia. Mi riferisco al lavoro di Carl Rogers, il padre del moderno counseling, che ha contribuito a rendere più orizzontale e democratica la relazione terapeuta/cliente. Con Rogers, il primato delle tecniche ha dovuto lasciare spazio all’autenticità e, cosa fondamentale, la tecnica dell’interpretazione è finita in secondo piano rispetto alla centralità dell’ascolto empatico. Rogers, con la sua teoria dell’astensione da giudizi personali, dalle valutazioni, dalle interpretazioni, dai tentativi più o meno azzeccati di trovare soluzioni e di dare al cliente sostegno non richiesto, ci dice e ci dimostra concretamente che ciò che conta, ciò che è terapeutico e trasformativo più della motivazione al cambiamento, più della tecnica usata, più della stessa professionalità è il clima emotivo all’interno del quale avviene l’incontro. Se il clima è buono, cioè caldo, accogliente, empatico, accettante, allora l’altro può crescere e svilupparsi in armonia. E il clima della relazione è creato dalle qualità positive del terapeuta che deve essere capace di sospendere il proprio dialogo interno per incontrare l’altro nel suo mondo. La sospensione del dialogo interno altro non è se non la morte della mente concettuale. Rogers ci ha dimostrato scientificamente, test alla mano, che ogni rottura dell’armonia percepita è correlata ad un blocco dello sviluppo e ad una capitolazione del cliente alle regole del terapeuta. Ci ha dimostrato, test alla mano, che ogni discrepanza avvertita dal cliente nella relazione si traduce nel comportamento in una regressione e in una perdita di libertà. Il cliente, proprio come il bambino, in una relazione asimmetrica, può sottomettersi alla volontà dell’adulto, realizzare anche un qualche tipo di adattamento, ma il prezzo che dovrà pagare sarà la perdita della libertà. Rogers più di ogni altro, a mio parere, segna la rottura storica con il modello del padre e traghetta, per così dire, la psicologia verso la dimensione archetipica della madre. All’interno di questo modello, fenomeni naturali come la vecchiaia e la morte non sono più visti come accidenti inevitabili, come aggressioni esterne, alla vita intesa come l’insieme dei processi biologici che la caratterizzano, ma come necessità e condizioni per lo sviluppo. Ciò che dalla madre nasce e viene nutrito, alla madre ritorna come nutrimento. In un processo circolare e ciclico. In Rogers non c’è combattimento, non c’è guerra alla malattia, tutto è accettazione e resa. Da questa resa possono nascere integrazione, un nuovo equilibrio, una nuova armonia.
Ego-centrismo
Gli studiosi dei sistemi familiari sanno bene quanto le resistenze al cambiamento, la lotta cioè per mantenere coattamente lo status quo in famiglia, nel ciclo di vita della famiglia, possa essere deleteria. Genitori che non accettano la separazione dai figli o che non accettano l’invecchiamento o la realtà della malattia, possono inibire in maniera patologica lo sviluppo della famiglia verso forme più mature di organizzazione. Il tentativo di trattenere in famiglia i figli ormai giovani adulti, può essere deleterio e portare ad una situazione di stallo pericolosa ed anche il tentativo dei coniugi di evitare una separazione inevitabile può attivare dinamiche conflittuali con sbocchi aggressivi e distruttivi. Gli psicologi sanno che ogni trasformazione presuppone l’abbandono di idee obsolete, di modelli comportamentali inadeguati, la perdita di illusioni e certezze, sanno che gli eventi più stressanti nella vita sono legati alla perdita. Tutti abbiamo subito e continuiamo a subire delle perdite nella nostra vita. Inoltre, crescere non vuol forse dire perdere qualcosa di noi continuamente? Non è strano che nessuno ci insegni fin da piccoli a gestire la perdita? Non è strano che ci si insegni a combattere, a costruire, a sviluppare i nostri talenti ma che non ci si insegni anche a lasciar andare? Ad arrendersi? In una parola, che non ci si insegni il valore che la morte psicologica e fisica ha per la vita? Evidentemente no, se riandiamo un attimo alle considerazioni prima esposte. La follia distruttiva della quale siamo vittime, follia che ha un nome chiaro e preciso, EGO-CENTRISMO, ci impone di negare e reprimere la verità della morte. Il termine ego che qui utilizzo è equivalente a identità e dunque la follia che ci pervade è quella di ritenere la vita centrata sulla identità concettuale. Si tratta di una forma di onnipotenza della personalità che si ritiene al centro del mondo, solo perché dotato di intelligenza logico-formale, un mondo percepito come un insieme di oggetti separati, ordinati gerarchicamente in maniera piramidale al cui vertice l’ego pone se stesso quale campione vincitore nella gara dell’evoluzione. L’ego cartesiano, essendo ignorante in merito alla sua vera natura essenziale, nega la sostanziale appartenenza al tutto, la sostanziale equivalenza di tutte le cose e quindi l’interdipendenza sostanziale tra tutte le cose. Semplicemente bolla come superstizioso tutto ciò che non può passare al vaglio della razionalità. Ognuno di noi è cresciuto assimilando la massima cartesiana cogito, ergo sum: penso, dunque sono. Ognuno dà credito al pensiero logico più che alle emozioni o alle profonde intuizioni sulla vera natura della materia. Il risultato finale di tanta ipervalutazione della razionalità è che, nel nostro isolamento mentale, ci sentiamo assediati dalla vita, la quale, come si sa, è sempre ben più del modellino facile o complesso che pretende di descriverla, la vita che viene percepita come incontrollabile da un Ego che più cerca di incasellarla in schemi e sotto-schemi formali di previsione e spiegazione, più se ne sente estraneo.
Psicospiritualità
Privati della loro natura di processo policromo dalla mente razionale e ridotti a figure bidimensionali, alcuni eventi naturali come la malattia, la vecchiaia, la morte e il morire, perdono di senso e diventano semplicemente eventi incontrollabili, nemici da combattere. In tutte le società pre-industriali la malattia, la vecchiaia, la morte e il processo del morire rappresentano occasioni di crescita e questo per un motivo molto semplice. Ogni crisi viene vista come occasione di sviluppo e crescita psicologica, umana e spirituale in quanto, frustrando il sentimento di onnipotenza egoico, fino alla disintegrazione, la crisi apre la persona alla percezione di una realtà più profonda. La crisi, anzi, come ci hanno ben spiegato gli antropologi, viene ricercata attivamente attraverso rituali, a volte anche complessi, i cosiddetti rituali di iniziazione, e attraverso tecniche specifiche finalizzate alla produzione di stati di coscienza allargata o espansi, in cui è possibile sperimentare fenomeni che mettono seriamente in crisi il primato della logica lineare basata sui concetti ordinari di spazio e tempo psicologico. I rituali di iniziazione sottolineano gli eventi più comuni della crescita degli individui. Nascita, inizio della pubertà, matrimoni, vecchiaia e morte. Queste crisi pilotate, che rappresentano veri e propri eventi di morte e rinascita psicospirituale, sono benefiche nell’immediato e i loro effetti terapeutici perdurano nel tempo. Nelle società protette da riti di passaggio, alcuni problemi legati all’identità, come insicurezza sociale, disturbi sessuali, abuso d alcool e droga, sono decisamente ridotti. L’assenza di questi riti di passaggio è dunque un evento negativo. Guardare al passato, o finanche ad alcuni modelli di società primitive, ai nostri occhi arretrate dal punto di vista tecnologico, ma che si sono sviluppate all’interno di mitologie cosmologiche benefiche, società descritte dagli antropologi come più integrate e pacifiche della nostra, che possono aiutarci a recuperare ciò che è andato apparentemente perduto nelle nostre società, mi sembra auspicabile.
Conclusioni
Possiamo recuperare un antico patrimonio perduto di conoscenze, la concezione che sottostà a queste culture, integrarla con le nostre società industrializzate e salvare noi stessi e il pianeta sul quale viviamo. Queste culture non hanno mai aderito completamente al paradigma cartesiano, al massimo lo hanno subito. Non hanno mai creduto ciecamente ai nostri miti e conservano ancora tracce di un passato capace di aiutarci a ritrovare noi stessi. Una nuova branca della psicologia, la psicologia transpersonale, si interessa da alcuni anni di questo recupero. Il termine trans-personale significa oltre la persona. Si tratta di una branca della psicologia che indaga in particolare la coscienza e i fenomeni che la caratterizzano. Il punto di vista della psicologia transpersonale è che l’uomo resta incompleto e pertanto fondamentalmente malato se non avviene una esperienza di’integrazione tra le varie forme di coscienza che rappresenta. Pace interiore, rispetto per gli altri e per la natura, gratitudine e apprezzamento reale della vita emergono nell’essere umano quando egli realizza la propria intima natura di essere completo e in interazione dinamica con l’ambiente. Ambiente dal quale non è separato, se non da una sorta di illusione percettiva. Una parte importante del repertorio di tecniche utilizzate dagli psicologi transpersonali comprende le varie forme di meditazione statica e dinamica, esercizi di respirazione, tecniche di rilassamento, l’uso della danza e della musica, visualizzazioni, preghiere, l’uso di alcuni suoni rituali, canti e mantra particolari. Si tratta della cosiddetta tecnologia del sacro che ha per obiettivo l’induzione di stati di coscienza allargata, attraverso processi di morte e rinascita spirituale, in cui è possibile sperimentare in maniera intuitiva ed esplorare dimensioni dell’esistenza e della psiche benefiche e risananti. Fortunatamente, nel corso degli ultimi anni, questa metodologia sta diffondendosi rapidamente nelle nostre società. Il mio augurio è che possano trovare una sempre più ampia diffusione tra le agenzie sociali (scuola, famiglia, servizi sociali, ecc) e contribuire così ad alleviare le nostre sofferenze attraverso l’attivazione di un processo di trasformazione delle coscienze sempre più ampio e radicale.
Dott. Lucio Buonomo/ Psicologo-Psicoterapeuta