Empatia: mettersi nei mocassini dell’altro
Cos’è l’empatia
Il termine empatia deriva dal greco empateia e significa sentirsi dentro l’altro. L’empatia è dunque la capacità di comprendere la situazione emotiva di un’altra persona in modo immediato, di comprendere i sentimenti affettivi o i pensieri dell’altro come se si fosse esattamente l’altra persona.
L’empatia implica la capacità di tollerare l’ansia, di perdere la propria identità e di aprirsi totalmente all’esperienza di un’altra persona. Implica la capacità di sospendere il proprio dialogo interno, ogni valutazione, interpretazione, giudizio o finanche di dare consigli per entrare in una dimensione di ascolto puro.
L’empatia è diversa dalla simpatia che è un sentire con l’altro. Va anche distinta dalla confusione con l’altro, che semmai è indice di una certo contagio emotivo, cioè di una condivisione fusionale e priva di elementi critici.
Comunicare in modo sincronico
A questo proposito, sono interessantissime le ricerche condotte con l’ausilio di telecamere che rilevano l’interazione madre/ bambino nei primi mesi di vita. Tale interazione sembra avvenire nel rispetto reciproco di tempi e ritmi organizzati, così come avvengono gli scambi ritualizzati delle danze tribali.
La madre parrebbe rispondere a precisi stimoli visivi e tattili del bambino e a sua volta anche il bambino parrebbe rispondere attivamente agli stimoli della madre. Il bambino, anche piccolissimo, parrebbe interagire attivamente con comportamenti di ricerca, richiamo, ecc.
Stern definisce questo modo di interagire interazione sincronica. Quando la sincronia fra madre e bambino si interrompe, ad esempio nel caso di madri poco empatiche, si verificano reazioni difensive caratterizzate da comportamenti di rinuncia e ripiegamento del bambino.
Le ricerche longitudinali (svolte nel tempo con gli stessi soggetti), rilevano alcuni importanti dati:
- la capacità genitoriale di soddisfare i bisogni emotivi dei figli gioca un ruolo importante nello sviluppo dell’empatia.
- le madri che sono empatiche, attraverso il cosiddetto rispecchiamento, offrono ai loro figli la possibilità di comprendere se stessi e il proprio stato d’animo interno.
- le madri con un basso grado di empatia, invece, hanno con maggiore probabilità dei figli che mostrano un più elevato livello di aggressività, ansia e depressione. Inoltre, l’insensibilità al dolore altrui può essere facilmente appresa in ambienti familiari che fanno della violenza un valore positivo.
- se l’affettività genitoriale diventa eccessiva, l’intrusività disturba la capacità di empatizzare del bambino.
- si ha empatia anche quando l’affetto è sostenuto dalla comprensione cognitiva. Alcune ricerche sottolineano il valore della comprensione cognitiva di parole a valenza emozionale positiva per lo sviluppo dell’empatia. In pratica genitori che non spiegano il senso di parole come amicizia, amore ecc., hanno meno probabilità di avere figli con competenze empatiche.
Empatia nella relazione di cura
Le ricerche più recenti hanno dimostrato l’esistenza di una relazione positiva tra empatia e esito della cura.
Bohart e Greenberg hanno schematizzato l’empatia terapeutica in tre categorie:
- rapporto terapeutico
(empatia intesa come rapporto empatico, caratterizzata da atteggiamenti di gentilezza, comprensione globale e accettazione dei sentimenti del cliente).
- sperimentazione del mondo del cliente
(empatia intesa come sperimentazione del mondo del cliente: tentativo di comprenderne la globalità della percezione).
- atteggiamento comunicativo
(empatia intesa come atteggiamento comunicativo:il terapeuta si mette nei panni del cliente per comprenderlo nel qui e ora).
L’empatia sembra essere dunque una componente base dell’alleanza terapeutica. L’alleanza terapeutica viene definita da Edoardo Giusti e Claudia Montanari come un ponte di fiducia che permette al cliente di manifestarsi e di coinvolgersi progressivamente nella relazione.
Empatia nella psicoterapia umanistica
Per Carl Rogers, l’empatia è il fattore curativo per eccellenza, più della motivazione del cliente può il clima della relazione. Non bisogna tuttavia mai perdere di vista la condizione di come se, il rischio è la identificazione con il mondo interno del cliente.
Per Martin Buber, al contrario non esiste il come se, altrimenti si perde la possibilità dell’incontro autentico io/ tu.
In ogni caso, tutti concordano sull’atteggiamento empatico, che è genuino, non direttivo, congruente e di accettazione incondizionata.
Empatia nella prospettiva psicoanalitica
Per Freud, l’empatia è sempre presente sullo sfondo della relazione, ma non è fattore essenziale, essendo invece fondamentale l’interpretazione ed anche una certa dose di frustrazione controllata.
Dagli anni Trenta del Novecento, tuttavia, soprattutto in relazione a pazienti gravemente disturbati psicologicamente, si comincia a parlare di fattori correttivi dell’esperienza passata come determinanti terapeutiche.
Dagli anni Cinquanta, con Alexander, appare in psicoanalisi il concetto di esperienza emozionale correttiva, che sta ad indicare un’esperienza opposta a quella che ha determinato il problema per cui la persona viene in terapia.
Ma sarà solo con Kohut che il concetto assumerà un importanza centrale. Per Kohut, l’empatia è un metodo per osservare e raccogliere dati clinici oltre che un potente fattore terapeutico riparativo.
Per Kohut, i pazienti più di ogni altra cosa hanno bisogno di risposte convalidanti per poter ristabilire il loro senso di autostima. Il terapeuta deve perciò empatizzare con tutti i bisogni del cliente e aspettare che avvenga la trasformazione.
Successori di Kohut: responsività ottimale
La responsività è l’esperienza dell’analista che risponde con modalità che facilitano il rafforzamento, la crescita e la vitalità del sé del cliente.
La responsività è generalmente intesa come la necessità del cliente di essere accudito ma anche successivamente di poter accedere al punto di vista dell’altro.
Se ne deduce che, per questi autori, l’agevolatore deve essere dotato di una sensibilità adatta a modulare il suo intervento tra questi due poli a volte opposti della relazione.
Cosa fare per aumentare la propria capacità empatica?
La conoscenza di certe teorie o dei vari tipi di carattere può aumentare l’empatia. La terapia personale, centrata su accettazione e ascolto di sé, aiuta a mettere in connessione parti di sé disconnesse e ad essere meno difensivi, più capaci di tollerare momenti di ambiguità e di incertezza e di evitare precoci concettualizzazioni.
Il riunirsi in piccoli gruppi di condivisione aumenta le capacità di comprensione dell’altro e di se stessi e dunque incrementa le competenze empatiche. L’esperienza soggettiva e l’immaginazione creativa sono entrambe utilizzate per conoscere la mente di un’altra persona.
Conclusioni
L’empatia promuove tre processi fondamentali:
- autoaccettazione
- autovalidazione
- sviluppo di una forte relazione umana.
Possiamo quindi concludere che:
- la mancanza di risposte relazionali corrette comporta una regressione con l’attivazione di comportamenti di ulteriore ricerca.
- per le persone che durante l’infanzia hanno sperimentato gravi fallimenti empatici, l’empatia è direttamente curativa perché offre un tipo di relazione che è sostitutiva e riparativa di quella sperimentata.
- l’empatia produce dei cambiamenti positivi nella persona e nel modo in cui la persona si relaziona agli altri.
Pertanto è auspicabile che sempre di più lo sviluppo delle competenze empatiche divenga materia di insegnamento nelle scuole e nella società in generale.
Dott. Lucio Buonomo/ Psicologo-Psicoterapeuta