Realizza te stesso attraverso le varie forme di meditazione

Cosa intendiamo con il termine meditazione?

La meditazione, come la preghiera, prima ancora che una tecnica è un processo che implica l’attraversamento di stati di coscienza sempre più profondi ed elevati in senso spirituale. Il fine è quello di condurre l’uomo a Dio, all’assoluto, alla essenza, alla realtà o alla natura della mente così come preferiscono definire la realtà ultima i buddisti. Comunque si voglia definire ciò che non è affatto definibile perché non è un oggetto fisico né un concetto, si tratta di re-alizzare, cioè di rendere reale e manifesto ciò che è invisibile.

L’idea di fondo è che noi non viviamo nella realtà?

L’idea di fondo è che noi viviamo nelle tenebre. O siamo vittime dell’ignoranza. Stiamo dormendo e vivendo un sogno. Quella che riteniamo la nostra realtà non è che un illusione. Ed in effetti basta osservare a come facilmente siamo vittime dei nostri pre-giudizi mentali o senso emozionali  per essere in accordo con questa teoria. Abbiamo bisogno del potere della meditazione per risvegliarci da questo sogno. Non è affatto un’idea originale. Anzi piuttosto antica e che attraversa le filosofie di tutto il nostro ormai piccolo mondo.

Come facciamo a creare il sogno?

Quando vai a dormire il sogno si produce da se. Sono i meccanismi fisiologici che producono l’esperienza o stato di coscienza che definiamo sogno. Così, anche la coscienza cosmica, quella di cui siamo il prodotto, produce autonomamente la realtà sognata. Non siamo noi a produrre il sogno. Noi semplicemente lo viviamo, per così dire.

Puoi spiegarti meglio?

Si. La natura della coscienza è quella di produrre forme con le quali una parte della coscienza si identifica. Nella tradizione orientale questo processo è conosciuto come “il gioco cosmico della coscienza”. Mi piace questa definizione perché sottolinea l’assoluta inutilità “funzionale” di tutto questo. Nel gioco fine a se stesso non c’è nessuno scopo se non il piacere che se ne ricava. Il gioco è puro divertimento.  Nella tradizione orientale una delle componenti della coscienza è definita Ananda, cioè beatitudine. Il piacere estatico di esistere. Pertanto, l’idea di fondo, è che la vita non ha scopo. Se non quello del divertimento puro e fine a se stesso. Anche nella bibbia traspare l’idea di un Dio annoiato che decide di creare il mondo vero? Dunque l’unico motivo serio per cui siamo qui, parrebbe essere il divertimento.

Naturalmente ogni gioco che si rispetti, per divertire, deve prevedere il passaggio da livelli diversi di difficoltà crescente, la ricerca di soluzioni, il sentimento di orgoglio per la riuscita del gioco ecc… Questo spiega la naturale tendenza della coscienza a creare forme sempre più complesse. Il gioco diventa sempre più difficile ma anche più interessante.

Secondo il libro di religione più antico del mondo, cioè i Veda, una parte della coscienza sta a guardare, testimonia del gioco, l’altra “mangia il frutto della conoscenza” e va a giocare nel mondo. Si sa come sono fatti i bambini, a volte giocano così intensamente da dimenticare perfino di mangiare. Si identificano totalmente nel gioco, ricavandone grande gioia e soddisfazione. Almeno fino a quando non sono troppo stanchi per continuare a giocare e allora vuol dire che è ora di merenda. Per fortuna ci sono gli adulti consapevoli e sempre presenti vero?

Quindi è a causa dell’identificazione che perdiamo il senso della realtà? E c’è anche una parte della coscienza che è sempre consapevole?

Si. Crediamo ciecamente  alle idee che abbiamo sul mondo, soprattutto abbiamo questa falsa idea che il mondo sia composto da oggetti e che noi stessi siamo degli oggetti.  Oggetti separati dagli altri oggetti  per la precisione.  Ma la consapevolezza sa che le cose non stanno così. E quando dimentichiamo perfino di fare merenda, assorti nel nostro gioco, ci chiama a se per nutrirci.

Mi sembra di capire che coscienza e consapevolezza siano due cose diverse

Sono due aspetti di un’unica cosa. La consapevolezza non è identificata. Mi sembra che sia Sant’Agostino a fare l’esempio della ruota per spiegare l’esistenza di Dio. Centro e circonferenza.  Non ci potrebbe essere la circonferenza senza un centro e nemmeno l’oggetto ruota se non ci fosse il mozzo. Ma da dove origina il movimento? Ci sarebbe movimento senza un centro dinamico e organizzatore? Ciò che si muove è relativo, cambia e gli scienziati direbbero che evolve, ma il centro cambia sul serio? La consapevolezza è un punto di pura coscienza non contaminata. Il testimone interiore delle tradizioni mistiche non è pura consapevolezza ma almeno un mezzo, nel senso di una via mediana alla pura consapevolezza. Sviluppando sempre di più il testimone interiore possiamo allargare la sfera della coscienza non condizionata e realizzare ciò che siamo.

E’ così che funziona la meditazione?

Il fine di tutte le pratiche spirituali è quello di fare arrestare il processo di conoscenza ordinario o normale dell’esistenza. Questo arresto della mente concettuale è meglio conosciuto nella tradizione orientale come “risveglio”. Si tratta di uno stato particolare di non pensiero. Viene ad essere definito in molti modi a seconda delle tradizioni diverse. Nella tradizione zen è non mente, in quella cinese il TAO, nella tradizione indiana Yoga, cioè unione di mente-corpo, il termine tibetano è vacuità, per i cristiani è contemplazione e corrisponde al momento in cui esse si ritrovano faccia a faccia con il divino.

Esistono numerose forme di meditazione che si basano su tecniche diverse. Una categoria prevede l’uso dei mantra, la ripetizione di suoni che hanno il potere di aiutare la mente a trascendere l’ordinario. Si tratta perlopiù di tecniche che favoriscono l’insorgere di stati di coscienza estatica.

Un’altra categoria prevede l’uso di visualizzazioni e quindi, favorisce l’identificazione con la divinità.

Una terza categoria favorisce l’unione di mente, cuore e istinto attraverso pratiche di attenzione consapevole. La ormai famosa mindfulness  che tanto si sta diffondendo in occidente appartiene a questa categoria di meditazione.

Sono tre orientamenti che mirano al superamento degli ostacoli che si frappongono fra noi e il divino. All’unione fra colui che vede, ciò che è visto e ciò che è.

 

Quali sono i principali ostacoli che il meditante incontra nel processo che porta al risveglio?

Ci sono ostacoli soprattutto mentali ed emozionali che si oppongono alla felicità del puro esserci. Innanzitutto alcuni stati d’animo particolarmente distruttivi come l’ira, l’orgoglio, l’avidità, l’avarizia, la lussuria. Sono ostacoli perché alimentano l’attaccamento alle forme, il desiderio egoico e le divisioni fra le persone. La meditazione ci aiuta a ridurre la forza di queste passioni che progressivamente lasciano il posto per altre più positive. Ad esempio l’ira quando diminuisce può fare spazio per la tolleranza ed il rispetto, così l’invidia lascia spazio alla gratitudine e l’avarizia alla gioia di esserci pienamente nella vita.

Mi sembra di capire che il processo può essere lungo e faticoso

A volte si. E a volte meno. Nel suo impegno l’allievo è condotto a sviluppare alcune qualità e deve impegnarsi disciplinatamente avendo fiducia nel maestro e nella pratica. Il maestro cerca di aiutare l’allievo a sviluppare alcune qualità come la capacità di perseverare, la ferma convinzione, l’autocontrollo, la calma mentale. Questa è la parte legata alla disciplina ovviamente. Tutto dipende dal carattere della persona, dal grado di motivazione, soprattutto dalla relazione che si instaura fra chi insegna e chi riceve l’insegnamento. Gli ostacoli del dubbio, dell’impazienza, della stanchezza e così via, sono sempre in agguato, ma i primi risultati generalmente possono fare da leva per la continuazione della pratica.

Quando la mente diviene via via più calma in genere la qualità della vita cambia in meglio e questo fattore agisce in positivo motivando l’allievo a continuare nel suo percorso.

Qual è la meditazione che pratichi più volentieri?

In gioventù mi piacevano molto le tecniche che comprendevano visualizzazioni anche complesse, ma con il tempo mi sono “attestato” nella pratica della meditazione di consapevolezza, meglio conosciuta come meditazione vipassana. Si tratta di portare l’attenzione al respiro, rilassare il corpo e godere del presente. Poi stabilizzata la mente nel respiro si osserva il sorgere dei pensieri . Rimanendo osservatori distaccati della mente concettuale consapevolizziamo l’esistenza di altri livelli di coscienza che non sono legati all’apprendimento concettuale. Sono per così dire originari e autoprodotti. Liberi da vincoli rigidi impariamo a fluire con le circostanze della vita rimanendo sempre gli stessi. Diventiamo più autentici, meno ansiosi, meno dipendenti dall’esterno per la nostra serenità, più liberi di essere ciò che siamo.

E quelli che non meditano? Che non ricercano?

La consapevolezza trova sempre il modo di chiamare a se la parte di noi che è identificata nel gioco cosmico. Ad esempio compare spontaneamente sotto varie forme personificate nei sogni, o si manifesta come sintomo fisico o come disagio esistenziale o come sintomo psicologico. La sofferenza dell’esistere ci spinge a ricercare una soluzione alla dimenticanza di noi stessi in ogni caso.

 

 

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