La Gestalt: psicoterapia dell’adattamento creativo o pratica di liberazione?
Introduzione
Grazie all’opera infaticabile e creativa di Fritz Perls, degno interprete di un movimento di trasformazione economica e culturale mondiale, la psicoterapia della Gestalt ebbe il suo momento di massima notorietà verso la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, periodo di grande conflittualità sociale ma anche di grande allegria, libertà intellettuale e comportamentale.
Furono anni di grande sperimentazione che attraversarono ogni settore della vita sociale, trasformando l’esistente come mai prima di allora. Niente fu risparmiato. Venne sottoposta a critica l’idea della centralità del lavoro salariato come fonte di benessere, l’idea della famiglia patriarcale come giusto pilastro della società, delle carceri e dei manicomi come regolatori del conflitto sociale, della psichiatria come strumento di controllo della devianza e della dissidenza.
Ricerca della verità
Rispetto a questi valori, la critica non fu solo teorica. Vennero percorse nuove strade e si affermò una nuova etica e nuovi punti di vista: la solidarietà contro la competitività, la comunicazione autentica e la spontaneità contro l’ipocrisia, la democrazia dal basso contro il verticismo e le gerarchie, il potere dei popoli contro l’accentramento dei poteri nelle mani dei tecnici e degli specialisti, l’apparente disordine della festa contro il grigiore dell’obbedienza e il terrore del controllo.
La ricerca della verità divenne fondamentale e fu associata alla pratica della liberazione gioiosa e giocosa da vecchi modelli sociali percepiti come obsoleti. I giovani americani stanchi di morire a migliaia in un paese lontano, la cui maggiore risorsa erano i campi di riso, chiedevano a gran voce una sola cosa: la verità. Lasciati cadere i valori dei loro genitori, si diedero quindi a cercarla con straordinario impeto esistenziale.
Nuovi modi di esistenza
Stanchi di aderire a modelli istituzionali ingessati, di continuare a cantare le canzoni dei loro padri, di guardare i loro film stucchevoli, di vestirsi in maniera conformistica, quei giovani incominciarono a sperimentare e praticare nuovi modi di esistenza. Disobbedirono alle regole, fondarono comunità che non prevedevano la proprietà privata ma la comunione dei beni, si vestirono in modi molto diversi ed iniziarono ad ascoltare musica alternativa.
Molti partirono per paesi esotici in cerca di una spiritualità meno controllata e dappertutto si diffuse l’ideologia della festa e della sperimentazione. Essi avevano capito che dalla disgregazione formale sarebbe scaturito prima o dopo un nuovo ordine più benefico. Di fatto, molte delle menti più illuminate dei nostri tempi provengono da quelle esperienze: gli anni Settanta hanno insomma cambiato per sempre la faccia del mondo, del nostro mondo.
Psicologia umanistico-esistenziale
Nel mondo delle psicoterapie, gli storici fondamenti psicoanalitici e comportamentisti furono sottoposti a serrata critica dagli esponenti della psicologia umanistico-esistenziale. Sarebbe troppo lungo e complesso analizzare questo dibattito in maniera esaustiva. Possiamo però evidenziare alcuni elementi di novità su altri. Il punto di vista psicoanalitico, per esempio, secondo il quale fattore curativo per eccellenza è l’interpretazione, viene contestato da quasi tutti gli psicologi umanisti ed esistenziali.
In Gestalt, l’interpretazione viene duramente attaccata in favore della consapevolezza del “qui e ora”. Si tratta di uno spostamento importante e non soltanto teorico: infatti è ovvio che l’idea che la consapevolezza renda liberi è comune sia alla psicoanalisi che alla Gestalt, ma se è vero che l’interpretazione ha l’obiettivo di rendere esplicito ciò che è oscuro alla coscienza, portare l’attenzione a ciò che accade nell’interazione fra terapeuta e paziente nel qui e ora della relazione ha invece l’obiettivo di passare dal perché le cose accadono al come accadono realmente.
Si tratta di operare uno spostamento dal contenuto al processo reale e vivente (e quindi dal concetto e dal concettualizzare, che avviene anche per mezzo di un parlare che rischia nel momento interpretativo di diventare un parlare sul paziente anziché al paziente), così come si manifesta e lo esperisce il paziente nel presente della relazione. Insomma, per i gestaltisti, è più importante il come che il perché.
Metodologia
Dal punto di vista metodologico, l’esperienza sensibile soggettiva viene considerata importantissima. “Che cosa senti adesso? Cosa sta accadendo ora?” sono frasi che abitualmente un gestaltista dice all’interlocutore per aiutarlo ad ampliare la propria consapevolezza di sé. Importante è sottolineare che ciò che la persona dice, in Gestalt, non viene sottoposto a interpretazione ma accettato come la verità fenomenologica del cliente.
L’obiettivo principale del terapeuta gestaltico è insomma aiutare le persone a sviluppare livelli sempre più elevati di consapevolezza organismica. L’idea di fondo è che la natura è saggia e intelligente e che noi ne siamo parte integrante. Se eliminiamo qualche ostacolo e lasciamo che l’intelligenza possa manifestarsi completamente, l’organismo che noi siamo può adattarsi creativamente all’ambiente.
Facciamo un esempio. Entro in un ambiente troppo caldo per me in quel momento. Sono in compagnia di una bella ragazza che mi distrae da me stesso, dunque non sono consapevole del mio fisico. La ragazza mi propone di bere qualcosa e, per non fare brutta figura, accetto un superalcolico. Adesso sì che fa caldo! Sto sudando e mi sento infastidito, non sto a mio agio, perché sono al limite del mio livello di sopportazione. Ho bisogno di aria.
Se agisco per soddisfare il mio bisogno, questa azione favorisce l’adattamento creativo: se cioè consapevolizzo e agisco, posso risolvere il gap. Se invece continuo ad essere inconsapevole, o peggio ancora a lottare con il mio corpo, magari bevendo un altro superalcolico, l’equilibrio rimane perturbato, facendomi sentire sempre peggio.
L’idea di fondo in Gestalt è che quando nasce la sofferenza c’è sempre qualcosa che perturba il funzionamento ottimale dell’organismo, che ne impedisce il libero fluire. In fondo, l’idea non è molto diversa dall’idea buddista che la sofferenza nasce dall’ignoranza circa la realtà che genera l’attaccamento e la conseguente impossibilità di fluire.
Il rimedio è sempre lo stesso: sviluppare la consapevolezza, pratica che consente di attivare comportamenti adeguati e centrati sulla responsabilità. Prendersi la responsabilità vuol dire quindi consapevolizzare i propri bisogni e rispondere adeguatamente per soddisfarli.
Sedia vuota
In Gestalt si sostiene che la sofferenza psicologica sia causata da un blocco dell’azione spontanea che è il risultato del tentativo di portare a termine nel presente situazioni incompiute del passato. Facciamo un esempio. Ho avuto un cattivo rapporto con mio padre autoritario e poco affettuoso. La comunicazione fra di noi era bloccata e non sono mai riuscito a dirgli semplicemente “ti voglio bene” oppure “avrei desiderato che tu…”.
Poi mio padre è morto e questi sentimenti sono rimasti chiusi dentro di me. Continuo a soffrire per il non detto o non realizzato e continuo anche a cercare persone con cui poter realizzare ciò che non ho realizzato con mio padre: soffro insomma a causa di una gestalt incompiuta.
Questa cosa forse a volte funziona nella realtà, quando cerco figure sostitutive di un padre affettuoso che non ho avuto e posso sentirmi soddisfatto quando le trovo. Oppure forse non funziona, perché l’aspettativa che i miei amici si comportino come un padre affettuoso con me è troppo alta per loro e quindi alla fine trovandomi pesante mi lasciano andare.
In tutti i casi, il mio comportamento risulta poco spontaneo perché condizionato dalla ricerca di affetto da parte dei miei amici maschi. Se in terapia prendo coscienza della mia nevrosi, posso tentare di risolverla positivamente nel qui e ora utilizzando una tecnica di chiara derivazione teatrale, la cosiddetta tecnica della sedia vuota. L’azione terapeutica in Gestalt è semplicemente quella di mettere il paziente di fronte ad una sedia vuota e dirgli “adesso immagina che tuo padre sia qui con noi e digli semplicemente quanto gli vuoi bene”. Potrebbe sembrare un po’ semplicistico ma vi posso assicurare che funziona molto bene.
Cultura e istinto
L’idea che le situazioni incompiute creino disagio non è nuova. Freud riconosce apertamente che il passato ci influenza. I conflitti vissuti e non risolti nelle fasi di sviluppo psicologico precedenti si ripresentano in età adulta condizionando il presente. Egli parla di “fissazione nevrotica”, intendendo il bisogno energetico di ripresentare situazioni non risolte all’epoca in cui sarebbero dovute essere risolte e, di “coazione a ripetere” come azione che è insieme un tentativo di risoluzione e di controllo di conflitti non risolti in passato.
La soluzione che propone Freud con la sua psicoanalisi è però alquanto diversa. Egli dice che in età adulta dovremmo essere in grado di riconoscere la futilità dei nostri comportamenti infantili e semplicemente rinunciarvi. Ristabilire il principio di realtà, caratterizzato da processi di pensiero logico e razionale, là dove invece nella nevrosi si affermano i principi del pensiero primario, ossia i tentativi continui di soddisfare desideri “impossibili” a essere soddisfatti.
All’uomo civilizzato e imbevuto di principi cartesiani, questa è sembrata una visione illuminata. A me sembra, invece, davvero una visione semplicistica. La visione di Freud è anche troppo pessimistica, presupponendo che lo scontro tra individuo e civiltà sia difficilmente “componibile” e che l’individuo debba rassegnarsi a vivere nel conflitto tra cultura e istinto.
Istinto come risorsa
Avendo effettuato due lunghe analisi, penso invece che il metodo analitico si fondi sul riconoscimento, sull’investigazione e sull’accettazione dei sentimenti, delle emozioni e dei pensieri che sono presenti come contenuti nella nostra psiche. E ovviamente sulla rinuncia alla soddisfazione dei desideri infantili.
Questo processo è di per sé integrativo, e può portare ad una migliore conoscenza di sé, ad un migliore adattamento sociale ed è in linea con la cultura scientifica sviluppatasi negli ultimi tre secoli. Tuttavia è ancora limitato ai fini di un autentico recupero della salute psicofisica. Freud ha voluto ricordarci che “l’uomo è un animale”, e che la conoscenza della sua natura animale è funzionale al controllo e all’adattamento sociale.
In fondo però, Freud ha sempre considerato l’istinto un problema, qualcosa da tenere sotto controllo, con il pensiero e con il linguaggio. Tutta la psicoanalisi è centrata sull’idea che, alla fine, è il pensiero logico che rende liberi. La Gestalt, al contrario, dice chiaro e tondo che l’istinto, lungi dall’essere un problema, è una risorsa e che “ il livello di esistenza non verbale, lungi dall’essere un substrato è un modo di essere reale, il più reale che ci sia” (Qui e Ora, Fritz Perls).
Perls lavorava favorendo la liberazione istintuale al fine di scoprire ciò che è reale dietro alle parole. La sua passione per l’arte, unitamente all’intolleranza verso qualunque forma di autorità, gli ha permesso di creare un metodo di intervento terapeutico innovativo per l’epoca ed estremamente funzionale che aveva l’obiettivo di condurre la persona fino alla pace ottenuta con la riconciliazione degli opposti.
Con il repertorio di tecniche espressive, con la filosofia del qui e ora, con l’esperienza più che con l’introspezione, con l’intuizione più che con l’analisi, con la creatività artistica più che con il metodo scientifico, Perls ed i suoi successori più illustri, in linea con il pensiero tradizionale e popolare, ribadiscono che l’esserci completamente ci consente, alla fine, di ritrovarci in uno spazio dell’esistenza che è fluido, dinamico e non conflittuale. Uno spazio vitale che, proprio perché non polare, è oltre il pensiero logico-grammaticale.
Conclusioni
La Gestalt ribadisce con forza che il corpo e soprattutto l’organismo, e la vita che l’essere umano è, non sono concetti ma flussi: se vogliamo stare bene, più che pensare ci conviene lasciarci andare nel flusso della vita.
La Gestalt, in questo senso, è pratica di liberazione più che psicoterapia destinata alla cura dei sintomi e si colloca nel campo delle metodologie psicospirituali che si propongono come pratiche di liberazione dall’illusione. Molte delle sue tecniche e pratiche, inoltre, sono quasi identiche a quelle utilizzate nelle varie tradizioni spirituali.
Il continuum di consapevolezza, la descrizione ad alta voce della propria condizione psicofisica istante per istante, è praticamente identica alla meditazione vipassana. Il far vivere all’esterno di sé le proprie parti ombra per contattarle e comunicarci in maniera diretta è simile alla pratica esorcistica. L’identificazione con le diverse figure del sogno, soprattutto con i vari maestri che ci appaiono e ci guidano nella dimensione onirica, è simile alle molteplici pratiche di meditazione tibetana. I momenti più espressivi che si vivono nei gruppi di gestalt con musiche ritmate e danze libere sono simili alle antiche feste rituali dionisiache.
Se questa analisi è condivisibile allora è anche possibile sostenere che occorre rivalutare forme tradizionali di sapere terapeutico bollate nel secolo scorso come non scientifiche, lasciarsi contaminare da esse per poterle poi utilizzare in maniera pragmatica e integrata per il nostro bene, dei nostri simili e del pianeta in generale.
Dott. Lucio Buonomo/ Psicologo-Psicoterapeut